LIFE SKILL – LA RIVINCITA: non chiamatemi più “soft”

Il mondo contemporaneo è complesso, poco prevedibile e impossibile da controllare (lo è mai stato?)
I contesti lavorativi ci chiedono più responsabilità e propensione all’imprenditorialità.
La facilitazione del digitale e il paradigma della società liquida (Z. Bauman) ci spingono – non tanto gentilmente – a introdurre una nuova lettura delle situazioni. Dobbiamo destreggiarci nell’incertezza e, dentro a questa cornice, gestire le nuove opportunità che si presentano, intervenendo attivamente per la nostra realizzazione, per una cittadinanza attiva e per la ricerca di un benessere ampio e di larghe vedute.

In tutto questo, interviene la variabile TEMPO a dirci che dobbiamo essere efficienti senza sacrificare la qualità, reagire velocemente mentre salvaguardiamo anche le relazioni.

Possiamo sentirci sovrastati dalle richieste del contesto o possiamo attrezzarci per fare di necessità virtù. La sfida è quella di pensare le cosiddette “soft skill” come competenze allenabili che richiedono attenzione ed esercizio costanti. La notizia buona è che abbiamo strumenti condivisi e risorse da attivare.

Strumenti

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha pubblicato nel 1993 il documento “Life skills education in schools”, facendo riferimento a un insieme di competenze, abilità personali, cognitive, sociali, emotive e relazionali che permettono di affrontare le sfide quotidiane della vita, rapportandosi a se stessi e agli altri con fiducia nelle proprie capacità e con atteggiamento positivo e costruttivo. Questo documento ha ispirato la stesura delle competenze chiave europee, percorso iniziato nel 2006 e confluito nella Raccomandazione relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018. L’articolazione delle competenze chiave europee rappresenta oggi il riferimento condiviso per descrivere le skill per l’occupabilità, la realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale.

Avere un riferimento comune per l’identificazione delle soft skill ci consente di lavorare in modo trasferibile e trasparente su competenze che fino a ieri erano considerate un corollario soggettivo da dichiarare nel cv.

Questo pone anche delle nuove responsabilità: per i futuri esperti di certificazione delle competenze, dotarsi di un metodo rigoroso per mettere in chiaro queste competenze; per cittadini e lavoratori, di essere disposti a valutare e far valutare quello che di fatto risulta essere un vero e proprio must have.

 

Risorse

Il mondo della formazione sta ponendo particolare attenzione alle softskill, offrendo occasioni per prepararci adeguatamente. Va in questa direzione la proposta di legge che prevede una sperimentazione triennale per l’insegnamento delle “competenze non cognitive” nelle scuole, finalizzata a sviluppare strumenti per interpretare il mondo di oggi e starci comodi. È un bel passo avanti nella costruzione di percorsi di vita più soddisfacenti e più adattivi, quindi anche più salubri:

  • essere smart con le relazioni ci consente di accedere ad informazioni preziose sugli altri e su noi stessi e utilizzarle come bussola per orientarci.
  • saper dare una cornice alle emozioni allontana lo spettro del “non detto” e dell’incomprensione.
  • saper prendere decisioni elimina l’invalidante sensazione di non riuscire ad agire in situazioni critiche e non previste.
  • sviluppare competenze di mediazione orienta il pensiero verso mondi inclusivi e non violenti.

 

Quanto può aiutare nel lavoro tutto questo?

Moltissimo.

Il Future of Jobs Report del World Economic Forum pone l’accento sulle competenze trasversali, oltre a quelle tecniche, quali leve di occupabilità nelle proiezioni al 2027. Nella top 10 delle skill più rilevanti troviamo: pensiero creativo, curiosità e apprendimento continuo, resilienza, flessibilità e capacità di pensiero sistemico.

Proviamo per un attimo a sganciarci dalla retorica del lavoro che ci assorbe sempre di più e che ci chiede troppo.

Proviamo ad abbracciare una visione complessa, in cui allenandoci a “saper vivere bene” riusciamo anche a lavorare meglio, generando benessere per noi e per gli altri. Qualche esempio?

  • l’intelligenza emotiva ci può aiutare a leggere il nostro stato e rispondere con consapevolezza, per evitare i conflitti che si generano ogni volta che attribuiamo fuori di noi la colpa del nostro malessere e che rispondiamo sull’onda del sentimento senza neanche sapere quale sia questo sentimento. No, non basta contare fino a 10. Bisogna imparare a usare bene quei 10 secondi. Per esempio, chiedendoci:

Cosa sto sentendo? A cosa sto reagendo? Come va a finire se porto a termine questa reazione? Cosa voglio generare di diverso?

  • la creatività è una leva importantissima per migliorare le relazioni interne, oltre che per offrire soluzioni nuove al cliente. Per esempio, ci suggerisce ipotesi per adattare e curare le relazioni nei contesti ibridi del lavoro. E questo è vero tanto se sei un HR alle prese con la ridefinizione della Employee Experience, quanto se sei un lavoratore in remote working che sente mancare il contatto umano e deve ingegnarsi per creare occasioni di interazione alternative alla pausa davanti alla macchina del caffè. Chi l’ha detto che l’unica soluzione possibile è fare una videochiamata al ‘collega del cuore’? Perché non creare un’agenda apposita sui nostri calendari digitali in cui a rotazione si parla con tutti e con regole specifiche? Potrebbero essere non parlare di lavoro o parlare di un determinato tema. Esistono anche app dedicate, come Hallway di Slack.
  • la capacità di influenzare gli altri incarna un nuovo concetto di leadership che ha poco a che fare col Job Title e molto con il ruolo che vogliamo avere per gli altri e con gli altri. Sviluppare questo tipo di leadership all’interno di una visione ecosistemica, aiuta a sentirci in una situazione di comfort nella mutevolezza delle organizzazioni e a fare pace con il desiderio di controllo. Se siamo in grado di veicolare valori importanti ed essere un riferimento per gli altri, possiamo focalizzare le nostre energie su come migliorare il contesto in cui operiamo a beneficio di tutti, non abbiamo bisogno di sprecare tempo a difendere le nostre posizioni.

In definitiva, le soft skill ci possono aiutare in modo sorprendente a creare benessere, sviluppando un mindset di responsabilità sul nostro agire e pensare, in un mondo in cui SAPERE vuol dire sempre più SAPER APPRENDERE ogni giorno reciprocamente.

Se questo, da un lato, ci chiede nuove skill e nuovi impegni soggettivi, dall’altro lato è in grado di ripagarci con nuovi traguardi individuali e collettivi e la sensazione di co-costruire un bene comune sovraordinato.

Visto il peso della questione, di “soft” è rimasto poco. Forse l’effetto di camminare leggeri, a beneficio della capacità di vivere (e lavorare) bene.