Come usiamo il tempo?
Avete presente la sensazione del “tempo che vola” quando siamo in vacanza?
E, viceversa, il tempo che “non sembra passare mai” quando siamo annoiati o in attesa trepidante di qualche risposta?
IL TEMPO, QUESTO RELATIVO!
Karl von Baer – pioniere dello studio della percezione del tempo – attorno alla metà del 1800 teorizzò l’esistenza del “momento”, inteso come il più breve intervallo di tempo del quale siamo consapevoli. e ipotizzò che la durata di questi momenti potesse differire nelle diverse specie animali.
Recenti studi (CIMeC Università di Trento) mostrano che il nostro cervello mette assieme singoli fotogrammi di realtà con diversi ritmi. Per esempio, riusciamo a discriminare meglio le durate nella modalità uditiva rispetto a quella visiva, dimostrazione di come il tempo non sia affatto uguale ed oggettivo.
Altri studi hanno evidenziato che la percezione del tempo è influenzata da fattori come l’età e le emozioni.
Ad esempio, è stato osservato un “effetto telescopio” per cui il tempo è più veloce per gli adulti e più lento per i giovani (Wittmann & Lenhoff, 2005).
Riguardo alle emozioni, la percezione di espressioni corporee paurose aumenta il livello di eccitazione che, a sua volta, accelera il nostro orologio interno (Droit-Volet & Gil, 2016). Altre ricerche suggeriscono che i processi di codifica della memoria legata alle emozioni possano causare una sottostima delle durate nei compiti a venire, ma una sovrastima nei compiti retrospettivi (Johnson & MacKay, 2019).
Questa dimensione soggettiva del tempo è così rilevante che è stato avviato un intero filone di ricerca per studiare la consapevolezza soggettiva del tempo (“cronoestesia”) che appare legata ad alcune funzioni neurocognitive come il ricordo, il pensiero del passato e del futuro e la funzione esecutiva di pianificazione (Tulving, 2002).
Infine, non dimentichiamo che il concetto di tempo lineare, così come siamo abituati a pensarlo nella società moderna occidentale, non è affatto scontato.
Ad esempio, nelle società agricole il tempo è vissuto come ciclico, scorre lentamente ed è ripetitivo in base alle stagioni. In Oriente il tempo circolare è alla base dell’esperienza umana, così come in tutti i pensieri basati sul concetto di reincarnazione.
Anche l’idea dello scorrere del tempo secondo un orologio condiviso e il numero di ore che passiamo a lavorare sono un risultato culturale che si è generato nel passaggio dalle società contadine ai nostri giorni, passando per la Rivoluzione Industriale.
Interessante, no?
Parliamo DEL tempo O parliamo NEL tempo?
C’è anche un altro focus da mettere sulla questione. Perché un conto è chiedersi come percepiamo il tempo, un altro è domandarsi con quali narrazioni lo descriviamo e, di conseguenza, come lo usiamo.
Per esempio, avete mai pensato a quanto siano importanti gli avverbi di tempo in una frase?
E alla differenza che fanno nel nostro modo di vivere e lavorare?
- MAI, SEMPRE
valgono solo finché non arriva qualcosa a mostrarci il contrario; ci fanno sentire al sicuro nella nostra zona di comfort, ma non ci aiutano a fare valutazioni corrette della situazione perché ci portano a generalizzare e non vedere tutto ciò che cade al di fuori di quello che già conosciamo e che pensiamo non accada MAI o che accada SEMPRE;
- GIA’, PRESTO, ORMAI
presuppongono un paragone implicito rispetto alla tabella di marcia che abbiamo in mente o alle nostre aspettative. Il confronto ci è utile solo se dal confronto emerge una possibilità di azione (“E’ presto rispetto all’obiettivo ampio che ci siamo dati, ma possiamo verificare se il lavoro fin qui svoto è in linea con le aspettative del cliente”).
Invece, tante volte usiamo il paragone temporale per avvalorare la nostra posizione e questo ci allontana dall’efficacia ed efficienza del lavoro (“Siamo a meno di metà del lavoro, è presto per chiedere al cliente considerazioni, queste ipotesi di progetto sono sicuramente migliorative per lui”);
- POI, PRIMA, DOPO
aiutano a organizzarsi (“Sentiamoci dopo la pausa caffè”) o a procrastinare (“Dopo le ferie…”).
Se li stiamo usando per pianificare siamo in grado di definire quando-chi-come, altrimenti stiamo perdendo energie ad auto-giustificarci;
- E poi c’è il RE degli avverbi di tempo: ALL’IMPROVVISO!
“All’improvviso il cliente ha cambiato idea, il collega si è innervosito, il capo ha chiesto un report, io ho capito che …”
È quello che più degli altri ci mostra che il tempo soggettivo vale più dell’orologio.
Niente, infatti, accade davvero all’improvviso.
Casomai, fa parte di un PRIMA/ADESSO/POI che non abbiamo colto.
L’attenzione selettiva fa sì che identifichiamo gli elementi di un contesto che sono coerenti con la nostra teoria. Se vogliamo allenarci a leggere le situazioni complesse che ci circondano, dobbiamo allenarci a captare i segnali deboli, partendo dal presupposto che moltissime cose che diamo per scontate sono, invece, oggetto di contrattazione sociale e quindi si sviluppano nelle relazioni. Anche il tempo.
E come si fa?
Non si tratta di fare maggiore attenzione alle cose che accadono ma di cambiare lo sguardo con cui le osserviamo.
Un paio di consigli:
- Non c’è miglior modo di capire se noi e gli altri siamo ‘allineati’ che fare domande: su cosa ci si aspetta, su cosa si può modificare, su cosa funziona e cosa no, su cosa ci dirà che siamo arrivati dove volevamo.
“All’improvviso ho scoperto che intendevamo due cose diverse”
può essere trasformato in
“Cosa intendi per…?”
“Cosa ci dirà che abbiamo raggiunto l’obiettivo?”
“Entro quando dovremo finire il lavoro affinché sia utile per …?”
“Come stiamo procedendo? Cosa vedi in linea/non in linea con l’obiettivo?”
- Chiediamoci quale funzione sta avendo il tempo nella nostra narrazione. Stiamo davvero parlando del tempo? Possiamo usare il tempo per confrontare un pre e un post, per giustificarci, per definire una causa e trovare un ‘colpevole’, per esprimere un risultato raggiunto, per prefigurarci il futuro che vogliamo.
Qui sotto un esempio di come lo stesso argomento “pianificazione” possa essere visto sotto diversi punti di vista, utilizzando avverbi di tempo e non per questo parlando del tempo.
– “Ieri ero rigido sulla pianificazione, oggi lascio più spazio all’improvvisazione del team” (narrazione centrata sul cambiamento individuale)
– “Dopo quello che è accaduto, ho dovuto rivedere le modalità di gestione del team dando più spazio alla responsabilità personale” (individuazione di un legame causa-effetto)
– “Ormai dobbiamo rincorrere il mercato, la pianificazione non funziona più, dobbiamo improvvisare” (giustificazione … mista a lamento, direi 😊)
– “Il miglior risultato di team che ci portiamo a casa quest’anno è aver trovato un modo per riorganizzarci velocemente e rivedere la pianificazione quando serve” (valutazione della performance collettiva)
Se facciamo attenzione a come (ci) parliamo, scopriamo anche come aprire nuove strade che ieri non vedevamo. Modificare le narrazioni che usano l’orologio come metro di confronto ci consente di usare il tempo come risorsa che apre possibilità di movimento, anziché come quantità che si esaurisce.
Il tempo è relativo … e per fortuna!
Così possiamo cambiare oggi cosa è per noi il passato, valutare diverse varianti dell’adesso e rivoluzionare il futuro.
E non è vero che “il passato è passato” perché IERI è relativo anche lui.
Ci sarà un altro racconto in cui la stessa ora di ieri potrebbe diventare un
ancora,
una volta,
ormai,
o abbandonare la narrazione del tempo per diventare qualcos’altro.