Coinvolgimento e senso di appartenenza nel lavoro

Le Grandi Dimissioni ci hanno raccontato di persone che non si sentono più nel posto giusto.

La fine del periodo emergenziale post-Covid ci chiede di fare una scelta in merito alle modalità di lavoro future.

Che sia per trattenere i talenti in azienda o per mantenere saldi i team da remoto, il quesito su come coinvolgere i lavoratori sta diventando centrale.

Nell’interrogarci sulla questione, partiamo da una riflessione sui termini che usiamo, che ci dicono tanto sul significato che attribuiamo alle parole

Engagement è la parola che strizza l’occhio ai contesti internazionali, ma attenzione a tradurla malamente nell’italiano “ingaggio”.

C’è una differenza sostanziale tra ingaggiare qualcuno e coinvolgerlo.

Ingaggiare” deriva dal francese engager che in lingua antica voleva dire “obbligare con pegno” o “impegnarsi, obbligarsi”. Oggi ha soprattutto significato di “reclutare, arruolare, assoldare, o più genericamente assumere alle proprie dipendenze mediante compenso”.

Quando usiamo il termine ‘ingaggio’ associato alle organizzazioni del lavoro, intendiamo l’accezione di “impegno” come attiva partecipazione alle cause, ai problemi e alle vittorie aziendali, non certo un dover fare. E solo in questo senso, ci restituisce il significato iniziale di engagement da cui siamo partiti.

In quali situazioni avvertiamo di dover fare qualcosa?

E quando, invece, ci sentiamo coinvolti, appassionati, partecipi?

La sfida è passare da “farsi carico” a “prendersi cura”

Possiamo farci carico di molteplici problematiche nel lavoro, evadere task complicati, sentirne il peso e la gratificazione quando le cose vanno bene. Nel corso del tempo faremo una valutazione costi/benefici e opteremo per una strada diversa quando il costo (il peso) sarà troppo alto.

Oppure possiamo prenderci cura di qualcosa che condividiamo con altri, mediare tra i nostri obiettivi personali e quelli aziendali, navigarne la complessità e sentirci appagati in questa impresa che è individuale e collettiva insieme. Decideremo quanto metterci in gioco in base ai vantaggi reciproci che percepiamo e resteremo finché il valore generato sarà allineato ai nostri desideri.

La differenza sostanziale sta nel senso di appartenenza, che presuppone un patrimonio di valori, obiettivi, metodi, pratiche in cui ci riconosciamo e ci impegniamo attivamente a fare la nostra parte.

Quali vantaggi possiamo avere in un contesto di lavoro coinvolgente, a cui sentiamo di appartenere?

Anzitutto, un contesto lavorativo in cui ci sentiamo totalmente partecipi fa leva sulla motivazione intrinseca. Grazie a questo commitment personale possiamo recuperare il senso di quello che facciamo a prescindere dagli accadimenti della giornata. Questo vuol dire riuscire a goderci il percorso oltre che i risultati, e trovare con più facilità la motivazione anche quando sopraggiungono le difficoltà e i fallimenti.

Viceversa, una motivazione estrinseca dura finché permane il rinforzo positivo esterno che ci aspettiamo, per esempio lodi e riconoscimenti. Pertanto, ci rende suscettibili a cambiamenti del contesto, come un cambio di leadership o problematicità momentanee, e non ci offre soluzioni per far fronte agli alti e bassi della vita lavorativa.

Per definizione, il senso di appartenenza implica una molteplicità: siamo io e il ‘qualcosa’ a cui sento di appartenere, a sua volta fatto da altri “io” che si sentono appartenenti.

Questa prospettiva aggiunge complessità rispetto ad una visione ego-centrata fatta di obiettivi e traguardi personali, e addiziona risorse al processo:

  • prospettive differenti da cui guardare la realtà, che emergono nel confronto con gli altri;
  • potenzialità generative amplificate, date dal muoversi come collettività;
  • disponibilità di competenze variegate che rendono il gruppo adattivo.

Cosa differenzia questo modo di stare insieme dalla squadra di lavoro che già conosciamo?

Una squadra di lavoro è unita dal perseguimento di obiettivi. Può funzionare con modalità partecipative come direttive. Può essere efficiente e, se il leader è in gamba, valorizzare il contributo di ognuno. Tuttavia, non necessariamente questo si traduce in senso di appartenenza e motivazione intrinseca, che si fondano su una condivisione di visioni e sul requisito della co-partecipazione.

Come facciamo a generare questa qualità di engagement nei contesti lavorativi?

Una suggestione è portare il concetto di Comunità in azienda. Nell’etimologia della parola troviamo il latino commùnitas ‘società, partecipazione’, derivato di commùnis ‘che compie il suo incarico insieme’.

Non solo ciascuno per la propria competenza in direzione di un obiettivo condiviso, ma INSIEME.

Peter Block in “Community”, pietra miliare su questi temi, ci racconta che per costruire Comunità, la priorità non è parlare di Comunità ma agire come se fossimo Comunità.

La strategia principale è generare un modo di stare insieme che sia un esempio del futuro che vogliamo creare, occupandoci tanto dello spazio sociale quanto dello spazio fisico.

Concretamente, come si applica? Alcuni esempi:

☑️parliamo di possibilità e come attivarle (anziché di problemi e come risolverli)


☑️trattiamo una riunione o l’avvio di un progetto come invito a prenderci cura (anziché come convocazione)


☑️facciamo domande che restituiscano alle persone un ruolo da protagoniste nella narrazione dominante e nel cambiamento


☑️ progettiamo l’accoglienza e i luoghi fisici (es. la disposizione delle sedie) in modo da comunicare “sei nel posto giusto per te, questo posto è anche tuo”.

Se sei un HR o un Team Leader e ti stai chiedendo da dove partire, ti suggerisco che secondo Block la trasformazione parte dai piccoli gruppi. Un’ipotesi è iniziare a praticare queste modalità nelle riunioni di team, facilitando l’acquisizione di un nuovo storytelling aziendale.

Se sei un lavoratore, a prescindere dal ruolo, poni attenzione alle modalità che usi con i colleghi. Non aspettare che arrivi qualcosa dall’alto, dall’esterno.

Guida il tuo mondo: se desideri un lavoro coinvolgente, chiediti anzitutto quali sono i valori che ti contraddistinguono e se sono apprezzati nella tua azienda. Se la risposta è affermativa, prenditene cura nei gesti quotidiani.

E poi?

La letteratura e le esperienze moderne ci offrono diverse altre strategie per coinvolgere e generare senso di appartenenza

  • Obiettivi condivisi

Coinvolgere i lavoratori nel processo di definizione degli obiettivi vuol dire darsi l’occasione di condividere in senso allargato i valori e le missioni che riteniamo importanti e facilitare l’apporto di ciascuno al raggiungimento dei traguardi, secondo le proprie inclinazioni.

Si tratta di superare la definizione di obiettivi e valutazione della performance personali, inserendoli in un’ottica partecipativa.

Un framework specifico su questo tema è quello degli OKR (Objectives and Key Results)che tuttavia va valutato attentamente con l’aiuto di un consulente specializzato, che possa indirizzare sapientemente l’azienda nell’analizzare la situazione e capire quale sia il metodo più adatto allo specifico contesto.

  • L’ascolto interno sistematico e strutturale

Questo implica impostare la comunicazione interna in senso bidirezionale, raccogliendo opinioni e sentiment costantemente ed esplicitamente.

Costantemente: perché un’analisi fatta solo quando si palesa un problema è una misura di emergenza nella migliore delle ipotesi; una via per sedare gli animi nella peggiore.

Esplicitamente: perché la co-partecipazione presuppone che ci sia un impegno trasparente da tutte le parti a ‘prendersi cura’; pertanto, gli obiettivi devono essere chiari e gli impegni altrettanto. L’attività di coinvolgimento deve sempre avere un ritorno, curare il feedback reciproco, se vogliamo che si traduca in un’evoluzione per tutti.

La tecnologia ci viene in aiuto. Esistono soluzioni digitali per le survey aziendali, per il whistleblowing, per gestire blog e community aziendali.

  • Percorsi di carriera diversificati e personalizzati

Proviamo a partire dalla ridefinizione del concetto stesso di carriera. Non per tutti, infatti, questo corrisponde ad una scalata verticale al successo.

Ognuno interpreta la crescita a proprio modo, ha inclinazioni diverse con cui fare i conti. Riuscire ad intercettare a livello aziendale questa dimensione e concordare col lavoratore obiettivi di carriera coerenti con le missioni personali, concorre a generare un’attenzione alla vita aziendale che ha la qualità dell’appartenenza anziché del “dover fare” o del “farsi carico”.

  • E … tutte le altre strategie che possiamo pensare purché:

prevedano come presupposto la co-partecipazione;

siano focalizzate su un obiettivo evolutivo condiviso, scartando dalla dimensione dicotomica individuo-organizzazione.

Trasversalmente alle pratiche che introduciamo, c’è una strada maestra che possiamo tenere a mente, che viene dal mondo del marketing e dello storytelling, ma il cui principio -con nomi differenti- è applicato anche in psicologia.

SHOW, DON’T TELL

Non parliamo dei problemi che vogliamo risolvere.

Piuttosto, attiviamo le risorse per arrivare al risultato, chiediamo quali sono gli impegni reciproci nel progetto condiviso. Mostriamo col nostro “fare” come vogliamo che sia il futuro, perché mentre lo stiamo mostrando, lo stiamo di fatto già costruendo.

La potenza generativa del linguaggio e delle azioni sta nell’abitare già un altro mondo possibile, senza bisogno di convincere gli altri che il mondo che proponiamo è migliore.

Come dice Velasco: “Non ho mai detto alla squadra che bisogna giocare di squadra. Li faccio giocare di squadra”.