Rimandare non è pigrizia.
“Lo faccio domani.”
Una frase che tutti abbiamo pronunciato almeno una volta. Ma cosa si nasconde davvero dietro questo rimando continuo? Perché procrastiniamo davvero?
La procrastinazione non è semplicemente mancanza di volontà o pigrizia. È un comportamento complesso, spesso legato alle emozioni difficili, alla gestione del tempo percepito e al significato personale che attribuiamo alle attività. Comprendere questi meccanismi può aiutarci non solo a fare di più, ma soprattutto a vivere meglio il nostro tempo.
In questo articolo esploriamo le diverse forme di procrastinazione, cosa ci spinge a rimandare e, soprattutto, come possiamo iniziare a costruire un rapporto più sano con il nostro tempo.
Cos’è la procrastinazione: oltre la cattiva abitudine
Procrastinare significa rimandare volontariamente un’attività, pur sapendo che questo potrà portare a conseguenze negative. Non è quindi semplice disorganizzazione, ma una vera e propria dinamica psicologica.
Una delle spiegazioni più accreditate è quella dello sconto del ritardo (Steel & König, 2006): tendiamo a preferire gratificazioni immediate (es. guardare una serie) a vantaggi futuri (es. completare un progetto), anche se più significativi. Il presente ci appare più reale e urgente del futuro.
Non è questione di forza di volontà
Contrariamente a quanto si pensa, la procrastinazione non è sempre sintomo di scarso autocontrollo. È spesso il frutto di:
- evitamento di emozioni negative (noia, ansia, paura del fallimento),
- meccanismi di rinforzo negativo (rimando il compito, provo sollievo, rinforzo l’abitudine),
- perfezionismo (“se non lo faccio perfetto, meglio non iniziare”),
- disorganizzazione (sottostima del tempo e delle risorse necessarie).
Per questo, non esiste un’unica dinamica di procrastinazione, ma diverse modalità di funzionamento che rispondono a bisogni differenti, che possono essere compresenti.
Ramirez-Basco (2010) e altri autori hanno identificato tipologie di procrastinatori. Ti invito a considerarli spunti di riflessione, per comprendere in quale ti rispecchi di più, quale può essere la tua dinamica dominante, e non profili stabili in cui identificarti:
- Evitante: rimanda per evitare il disagio del compito.
- Insicuro: ha poca fiducia in sé e teme il fallimento.
- Perfezionista: aspetta condizioni ideali per agire.
- Disorganizzato: crede di avere più tempo di quanto realmente a disposizione.
- Passivo-aggressivo: usa il ritardo come forma di opposizione.
- Edonista: privilegia piacere immediato a compiti doverosi.
- Arousal seeker: cerca il brivido della scadenza imminente.
- Indeciso cronico: evita di scegliere per timore di sbagliare.
Il costo della procrastinazione
Rimandare ha un costo, anche elevato: è associato a livelli più alti di ansia, stress, bassa autostima, insonnia e insoddisfazione (Solomon & Rothblum, 1984; Sirois, 2007; Flett et al., 2016). Inoltre, secondo Tice & Baumeister (1997), la qualità del lavoro peggiora, nonostante l’illusione di performare meglio sotto pressione.
Strategie per affrontare la procrastinazione
Ecco alcune strategie validate dalla psicologia:
- Auto-monitoraggio: osservare quando e perché rimandi. Capire come funzioni è il primo passo per modificare la dinamica.
- Scomposizione dei compiti: dividere gli obiettivi in micro-step per ridurre la pressione di iniziare.
- Gestione del dialogo interno: imparare a riconoscere e contrastare pensieri come “non sono pronto”, con alternative più realistiche e funzionali (es. “sto facendo del mio meglio e sarò in grado di affrontare ciò che mi aspetta, costruendo man mano le competenze che servono”). Trasforma il “non ce la faccio” in “posso iniziare da qui”.
- Costruzione di contesti favorevoli: eliminare distrazioni e creare ambienti di lavoro protetti (es. silenziare le notifiche del cellulare per un periodo di tempo predefinito), situazioni facilitanti (es. abbinare l’inizio di un’azione a un’altra che ci viene automatica, come bere il caffè a inizio giornata).
- Allenamento all’autocompassione: ridurre il giudizio interno e accogliere gli errori come parte del processo.
- Riscoprire il significato: chiedersi “è importante per me fare questa cosa?”.
Conclusione: il tempo come alleato
Procrastinare non è solo una cattiva abitudine. È un segnale. A volte rimandiamo attività che non sentiamo nostre, o che percepiamo come prive di senso. Altre volte, restare nella zona di comfort ci dà benefici nascosti che non abbiamo ancora messo a fuoco.
La vera trasformazione non parte dal “fare di più”, ma dal dare nuovo valore al tempo: riconoscere cosa ci fa sentire vivi, presenti, connessi.
La procrastinazione può diventare un’occasione per ascoltarci più a fondo. Non si tratta solo di gestire meglio l’agenda, ma di riconnetterci con ciò che conta davvero.
Quando diamo significato alle nostre scelte, il tempo smette di essere un nemico. E inizia a diventare uno spazio da abitare con intenzione.
Se vuoi lavorare su questo tema, il percorso Equilibrio è pensato per chi desidera costruire un tempo di valore, dentro e fuori il lavoro: definire gli obiettivi prioritari per il benessere, sviluppare strategie per monitorarli e difenderli davanti agli imprevisti della vita.



